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Scuola primaria: quali sono le principali tappe evolutive e i campanelli d'allarme?

3/7/2025

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Nel periodo di sviluppo tra 6 e 10 anni i bambini acquisiscono e automatizzano le abilità scolastiche di base, come la letto-scrittura (associazione tra scritto e suono) e il calcolo matematico. Tuttavia, una specifica conformazione neuropsicologica – presente nel 2-5% della popolazione – può rendere più complesso questo processo, determinando un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), come dislessia, disortografia o discalculia.
Parallelamente, si affinano le capacità motorie e la coordinazione, anche in ambito sportivo. Se un bambino mostra movimenti goffi o imprecisi, come difficoltà a lanciare una palla o a scrivere in modo fluido, potrebbe trattarsi di un segnale di Disturbo della Coordinazione Motoria o di Disgrafia.
Sul piano cognitivo, il pensiero si allontana progressivamente dalla percezione sensoriale e diventa capace di rappresentare la realtà attraverso simboli, parole, giochi e disegni. Si sviluppa il pensiero logico, che consente al bambino di formulare ragionamenti, anche se ancora legati a situazioni concrete. Ad esempio, inizia a comprendere che, se un liquido viene travasato in recipienti di forme diverse, la quantità rimane invariata, superando l’illusione percettiva che suggeriva il contrario. Lo sviluppo di queste abilità – che Jean Piaget chiama pensiero operatorio concreto – permette al bambino di eseguire una serie di operazioni logiche quali sommare, dividere, fare classificazioni o mettere in serie.
Si perfezionano inoltre le abilità di comprensione del testo, espressione e risoluzione di problemi.
La maturazione cognitiva permette una capacità di attenzione più prolungata, essenziale per un apprendimento efficace. Difficoltà nel mantenere il controllo dell'attenzione e nel controllo dell'impulsività potrebbero essere indicative di un Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD).
Infine, in questa fase il pensiero del bambino è meno egocentrico e si struttura la capacità di distinguere il proprio punto di vista da quello altrui: inizialmente sul piano percettivo e, successivamente, rispetto a opinioni e pensieri. Questo processo, noto come Teoria della Mente, è fondamentale per la socializzazione, lo sviluppo dell’autonomia, l'empatia e l'attenzione agli altri. Se da una parte questa competenza si presenta spontaneamente come tappa evolutiva, dall'altra l'educazione favorisce la capacità di riflessione e lo sviluppo di sentimenti di cooperazione sociale come l’amicizia, il rispetto e il senso di giustizia.
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Scuola dell'infanzia: quali sono le principali tappe evolutive e i campanelli di allarme?

3/7/2025

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Nel periodo di sviluppo tra i 3 e i 6 anni il linguaggio diventa il principale strumento di comunicazione quotidiana. Il bambino affina la capacità di articolare suoni, scegliere il lessico appropriato e costruire frasi comprensibili non solo per i familiari più stretti, ma anche per altri interlocutori. Se queste competenze tardano a emergere o risultano significativamente compromesse, potrebbe esserci un Disturbo Primario del Linguaggio. 
Attraverso il linguaggio, il bambino impara a superare la necessità di un riferimento concreto: non ha più bisogno di avere davanti l’acqua e indicarla per esprimere il desiderio di bere.
Il linguaggio non è solo un mezzo di comunicazione e interazione sociale, ma anche uno strumento di autoregolazione del pensiero, attraverso il dialogo interiore (parlare tra sé e sé). Un linguaggio poco sviluppato può generare frustrazione, ostacolando l’espressione di bisogni e desideri e portando a reazioni di isolamento, rabbia o comportamenti aggressivi, che talvolta sfociano in Disturbi del Comportamento.
Difficoltà comunicative possono derivare anche da un forte disagio emotivo che, come accade nel Mutismo Selettivo, impedisce al bambino di parlare in contesti specifici o con determinate persone (spesso adulti non familiari).
Se, invece, l’incapacità nella comunicazione e nell'interazione sociale si manifesta in modo pervasivo in ogni contesto – familiare e non – ed è accompagnata da interessi ristretti e ripetitivi ed eccessiva riluttanza ai cambiamenti , potrebbe trattarsi di una condizione riconducibile ai Disturbi dello Spettro Autistico.
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Educazione emotiva

2/13/2025

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Albi illustrati, film, animazioni, ma anche situazioni viste o vissute sono buone occasioni per parlare con i piccoli di come ci si sente e immaginare cosa hanno provato gli altri.
Bimbi allenati a parlare di emozioni diventano giovani in grado di riconoscerle e adulti competenti nel gestirle.
Uno studio* ha osservato bambini di 3 anni parlare con genitori e fratelli, scoprendo che quelli più abituati a discorrere sui sentimenti (in termini di frequenza, discussione delle cause, diversità dei temi e conflitti) erano poi più bravi a riconoscere le emozioni a 6 anni.
Inoltre, sviluppare l'attitudine a mettere in parole i pensieri e le emozioni è un ottimo strumento di prevenzione e tutela della salute mentale. Perché è quando le situazioni vengono trangugiate senza poter essere affrontate ed elaborate che... restano sullo stomaco.
Soprattutto quando si cresce in un ambiente in cui ci sono argomenti scomodi, che non vanno toccati (e le emozioni sono spesso tra questi) si resta senza un linguaggio per darne forma. E se è impossibile conoscere ciò che non ha forma, ciò che non si conosce può far paura. La paura spinge a sotterrare il proprio oggetto temuto e il circolo vizioso conquista un'altra spira.
In sintesi, parlare di emozioni con i piccoli fin da subito aiuta la loro intelligenza emotiva e tutela la loro salute mentale.


*Dunn, J., Brown, J., & Beardsall, L. (1991). Family talk about feeling states and children's later understanding of others' emotions. Developmental Psychology, 27(3), 448–455 https://psycnet.apa.org/record/1991-23887-001
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Difficoltà scolastiche. Quando e perché rivolgersi a psicologo, logopedista e neuropsichiatra per un bambino con difficoltà scolastiche?

2/3/2025

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Se tuo figlio sta affrontando problemi scolastici, è naturale sentirsi preoccupati e incerti su quale sia il passo giusto da compiere. Spesso sono gli insegnanti a segnalare delle difficoltà oppure sei tu stesso a notare che qualcosa non va. Ma a chi rivolgersi per un aiuto concreto?
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Difficoltà, disturbi, problemi... Facciamo chiarezza.
La scuola è un ambiente in cui un bambino o una bambina, un ragazzo o una ragazza trascorre gran parte del suo tempo, per questo è il palcoscenico principale sul quale prendono forma diversi tipi di problematiche. Capire le cause di eventuali problemi a scuola è compito fondamentale di chi si prende cura di un giovane.

(Attenzione! Questo non significa distogliere l'attenzione dai bambini e le bambine che non manifestano difficoltà evidenti o non creano nessun problema a scuola!)

Nel linguaggio scolastico l'insieme delle difficoltà che richiedono un'attenzione specifica rientra nell'area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), conosciuti a livello internazionale come Special Educational Needs. Secondo le linee guida del MIUR (27/12/12), ogni studente può avere bisogni educativi speciali, in modo continuativo o temporaneo, per ragioni di natura:
  • fisica, biologica o fisiologica
  • psicologica, sociale o ambientale
Per questo, le scuole devono fornire risposte adeguate e personalizzate.
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Quali sono le cause più comuni delle difficoltà scolastiche?
I problemi scolastici possono derivare da diversi fattori:
  • Disturbi dell’apprendimento (DSA e altri disturbi del neurosviluppo)
  • Difficoltà emotive e relazionali transitorie (eventi di vita stressanti, insicurezza, difficoltà nei rapporti sociali)
  • Disturbi psicologici persistenti (es. disturbi d'ansia, dell'umore)
  • Fattori familiari e ambientali (mancanza di supporto, stress familiare, disagio socio-economico)
  • Fattori scolastici (metodi di insegnamento poco adatti, scarsa comunicazione tra scuola e famiglia)
  • Fattori biologici e medici (disturbi neurologici o sensoriali, problemi legati a sonno e alimentazione)

Da queste condizioni derivano dei bisogni educativi che se non sono oggetto di attenzione possono comportare problemi quali bocciatura o abbandono scolastico. Certamente non è compito del genitore o dell'insegnante individuare con precisione la causa dei problemi: è fondamentale rivolgersi a uno specialista.

Quali specialisti possono aiutare? 
Capire il ruolo delle diverse figure professionali è essenziale per avviare il giusto percorso di supporto.
  • Neuropsichiatra infantile: medico specializzato nei disturbi neurologici e psichiatrici dell'infanzia. Può effettuare diagnosi e prescrivere farmaci.
  • Psicologo: si occupa di prevenzione, diagnosi, abilitazione-riabilitazione e sostegno in ambito psicologico e neuropsicologico. Valuta lo sviluppo cognitivo, emotivo e comportamentale, offre supporto psicologico e strategie per gestire difficoltà scolastiche ed emotive.
  • Psicoterapeuta: si occupa della cura di disturbi psicologici attraverso percorsi terapeutici.
  • Foniatra: medico specialista nei disturbi della comunicazione e del linguaggio.
  • Logopedista: si occupa della prevenzione e della riabilitazione dei disturbi del linguaggio e della comunicazione in età evolutiva, adulta e geriatrica.

A chi rivolgersi per primo?
Il primo passo è comprendere la natura del problema attraverso una valutazione diagnostica. Questo non significa necessariamente ottenere una diagnosi: a volte basta individuare strategie e strumenti per migliorare la situazione.

Nel caso di disturbi dell’apprendimento, il punto di riferimento principale è il neuropsichiatra infantile o lo psicologo, che possono avvalersi della collaborazione di altre figure sanitarie come logopedisti e terapisti della neuropsicomotricità.
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Affrontare le difficoltà scolastiche con il giusto supporto può fare la differenza nel benessere e nel successo formativo di tuo figlio.
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